Giraut de Borneil, La flors del verjan
Il fiore dal ramo
mi tien vivo in mente
un cortese affanno:
non fosse insistente
perché mi rammenti,
avrei già scordato
di cercar piacere!
Ma campo né prato
non fa più gran messi
di quanto germoglia
in me un tale amore,
che davvero,
se così avvenisse
che l’amata promettesse,
dovrei cantare più spesso!
E è giusto che canti
pregando o a comando;
ma ora diranno
che se mi sforzassi
di cantar leggero
farei molto meglio.
Ma ciò non è vero,
che senno ordinato
regala valore,
e lo compromette
non-senno sfrenato;
ma ben credo
che per niente un canto
valga mai al principio tanto
quanto poi, quando s’intende.
E a che pro mi vanno
sempre predicando?
Che poi piangeranno
(che io trovi gioia!)
che non ci sarò!
Che se allaccio fitte
parole ristrette
ne sono lodato
quando l’argomento
mio buono è evidente;
che un uomo sapiente,
tanto vede
e mi dà ragione,
non vuol mica, lo so bene,
che io canti a tutti insieme.
E perciò l’altr’anno,
quando persi il guanto,
andavo cantando
sia piano sia chiuso;
se avessi esitato
sarei stato in colpa,
che dono e favore
non m’era tardato!
Ma se mi chiama ora
l’amica malevola,
risalirà il bene.
Poi a che
non potrei mirare
se mi parla e accoglie buona?
Non è gran consolazione?
Ma se il suo buon viso
e il cuore e il volere
m’andasse cambiando,
non so chi vorrebbe
glielo tollerassi.
E che? Ora udite
che follia m’uccide,
che in groppa mi salta
e controsperona,
e il peggio mi dice.
Perciò non pensate,
se pietà
di me, dice, avrà,
se le parlo stoltamente,
che si penta in un momento?
Andrò dunque avanti
puro e senza inganno
soffrendo e pregando,
perché, s’addolcisse,
potente e adirata,
ne avrebbe più onore
che se mi punisse
pensieri ed azioni,
per quanto rimandi,
che più non concede,
che io sia appagato!
Ma bisogna,
pur se nulla ottengo,
che attenda e vinca soffrendo,
che franchezza vince i franchi.
Ora grideranno,
vagabondi amanti,
che l’attesa è danno;
ma chi bene amasse
e meglio attendesse
miglior sorte avrebbe,
pur fosse ingannato.
Chiedete alla Donna,
questo, di Narbona! –
Che? – Se amante ardente
troppo apertamente,
quando avviene
che una volta ottiene
dall’amore un godimento,
non ne perde più di cento.
Non m’arrendo
io, ma sempre attendo,
Soprattutti, che me a lungo
condurrà Prendi-non-prendere.
Giusto è che per lungo tempo
grande gioia ci si attenda.
Testo: Sämtliche Lieder des Trobadors Giraut de Bornelh, hrsg. von Adolf
Kolsen, Halle, Niemeyer, 1910-1935; cfr. anche Ruth Verity Sharman, The cansos
and sirventes of the Troubadour Giraut de Borneil: a Critical Edition, Cambridge,
University Press, 1989.
Canzone che secondo Kolsen II, 285 precede la tenzone con Raimbaut d’Aurenga,
ma bisognerebbe prendere per buona l’idea molto discutibile (e smentita qui dalla quarta
strofa) che gli stili clus e leu stiano nella produzione di Giraut in successione cronologica.
Di questa poesia parlo in Giraut de Borneil «plan e clus», «Quaderni di Filologia Romanza»
della Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, XIV, 1999 (Bologna, Pàtron, 2001)
= Interpretazioni di trovatori, Atti del Convegno, Bologna, 18-19 ottobre 1999, pp. 7-43.
Poesia difficile, con problemi forse ancora da affrontare sia per il testo, sia per l’in-
terpretazione puntuale. Il testo da cui traduco è quello di Kolsen con alcuni interventi,
in parte basati sul lavoro di R. Sharman (aggiungo un tentativo di traduzione letterale):
La flors del verjan
me vai remembran
un cortes afan,
e si no·s coches
que·l me remembres, 5
ja·m for’ oblidatz
d’enquerre solatz.
Pero chams ni pratz
genser no meissona,
c’al cor me botona 10
tals un’amistatz
c’a ma fe,
s’aissi s’esdeve
com cilh qu’eu am m’aconven,
be dei chantar plus soven! 15
I Il fiore dal ramo / mi va ricordando / un cortese affanno, / e se non si premurasse /
5 di farmene ricordare [lett. che me lo ricordasse] / già mi sarei dimenticato / di cercare
piacere. / Perciò né campo né prato / produce messi più generosamente [genseis meglio
che genser] / 10 di come mi germoglia nel cuore / un amore tale / che, in fede mia, / se
va a finire in modo tale / che colei che io amo mi faccia una promessa, / 15 devo bene
cantare più spesso.
9 genser avverbiale (forse meglio genseis, genseitz Sharman, per lo stesso senso).
14 m’a conven Kolsen, m’a coven Sharman; aconven 3a p.s. cong. pres. di aconventar.
Donc drechs es qu’eu chan
c’a precs que per man;
mas era diran
que si m’esforses
com levet chantes 20
melhs m’ester’ assatz.
E non es vertatz,
que sens acordatz
adui pretz e·l dona,
si com l’ochaizona 25
nosens eslaissatz;
mas be cre
que ges chans ancse
non val al comensamen
tan com pois, can om l’enten. 30
II È dunque giusto che io canti / sia con preghiere [= per pregare, di mia iniziativa], sia a
comando (= perché lei me lo ordina); / ma ora diranno / che se mi sforzassi / 20 di
cantare in modo leggero [levet; oppure leveis ‘in modo più leggero’] / sarebbe molto
meglio per me. / E non è la verità, / perché senno bene accordato / apporta e dà pregio, /
25 così come lo mette in dubbio / ‘non-senno’ a briglia sciolta; / ma credo bene / che
affatto un canto mai [ancse, oppure dese ‘sùbito’] / non valga all’inizio / 30 tanto quanto
più tardi, quando lo si intende.
23 acordatz è lezione di M, adottata ipoteticamente per echartatz Kolsen (più prob.
ecartatz, stando ai mss.) non documentato e di interpretazione non soddisfacente. Deve
trattarsi di un aggettivo opposto a eslaissatz 26; perciò non risolve e cartatz ‘e preziosità,
difficoltà’ Sharman.
E donc a que·m van
tot jorn chastian?
Qu’enquer planheran
(s’eu ja joi cobres!)
car no serai pres! 35
Car s’eu jonh ni latz
menutz motz serratz
pois en sui lauzatz
can ma razos bona
par ni s’abandona; 40
c’om ben ensenhatz,
si be·i ve
ni mo drech chapte,
no vol al meu escien
c’a totz chan comunalmen. 45
III E dunque a che pro mi vanno / facendo continuamente la predica, / (questi) che poi
piangeranno / — possa io ottenere gioia! — / 35 perché non sarò più vicino [= me ne sarò
andato]? / Perché se io unisco e allaccio / fitte parole chiuse, / poi ne sono lodato, /
quando la mia buona argomentazione / 40 si manifesta e si offre apertamente; / perché
uno che la sa lunga, / tanto vede bene in ciò / e sostiene le mie ragioni, / non vuole
[oppure: che non vuole, consecutiva], come io so, / 45 che io canti a tutti alla buona
[oppure: diffusamente].
Mas pero l’altr’an,
can perdei mo gan,
m’anava chantan
plan e clus ades,
e si m’en tarzes 50
en for’ encolpatz,
car lo dos ni·l gratz
no m’era tardatz!
Mas era si·m sona
m’amia felona, 55
sera·l bes poiatz.
Pois a que
no·m ponhera be
si·m sona ni m’acolh gen?
No·i a gran refranhemen? 60
IV Ma perciò l’altr’anno, / quando persi il mio guanto, / me ne andavo cantando / sempre
sia in modo piano, sia in modo chiuso, / 50 e se avessi esitato a farlo / ne sarei stato
colpevole, / poiché il dono e la grazia / mi erano dati senza esitazione. / Ma ora se mi rivolge
la parola / 55 la mia amica [anche] malevola [= anche malevolmente, purché solo mi parli], /
il bene risalirà: / poi a che / bene non sarei capace di tendere con energia, / se mi si rivolge
e mi accoglie favorevolmente? / 60 Non c’è in questo una grande consolazione?
53 tardatz Sharman, vedatz ‘negato’ Kolsen.
56 poiatz Sharman, ponhatz ‘cercato con impegno’ Kolsen.
Ma si·l bel semblan
ni·l cor ni·l talan
m’anava chamjan,
no sai qui·m lauzes
qu’eu lo·lh sofertes. 65
Sofrir!? Er’ auiatz
com m’auci foldatz,
c’aissi·m salh al latz
e·m contresperona,
can pechs me razona. 70
E donc no·us cudatz,
pos merce
ditz c’aura de me,
si la·n razo folamen,
que s’en penedes non len? 75
V Ma se il buon viso / e l’animo e il volere / (lei) cambiasse nei miei confronti, / non so chi mi
consiglierebbe / 65 di tollerarglielo [che io glielo tollerassi; oppure: chi approverebbe che io
ecc.]. / Tollerare? Ora udite / come mi uccide la follia, / che così mi salta in groppa / e mi
sprona al contrario, / 70 quando mi consiglia il peggio. / E dunque non siete del parere, / dal
momento che pietà / dice che avrà di me, / se io le parlo follemente, / 75 che se ne penta alla
svelta? [del favore che mi manifesta o che mi manifesterebbe].
75 Testo secondo Sharman (che punteggia: que s’en penedes? Non len!); que s’en pened’e·s
n’alen ‘che se ne penta e ne perda voglia’ Kolsen.
Irai donc enan
fis e ses engan
sofren e preian,
que si s’afranches
sos rics cors engres 80
plus en for’ onratz
que si fos venhatz
mos cutz e mos fatz,
si be·i·s desazona,
car melhs no s’adona, 85
com en fos paiatz!
Mas conve,
si noca n’ai re,
qu’esper e vensa sofren,
que·ls francs vens on franchamen. 90
VI Andrò dunque avanti / puro e senza inganno, / soffrendo e pregando; / perché se si
addolcisse / 80 la potente e irata persona di lei / ne sarebbe più onorata / che se fosse
punito / il mio pensiero e il mio agire; anche se viene differito, / 85 poiché lei non si
concede di più, / che io ne sia appagato. / Ma bisogna, / pur se non ne ottengo mai nulla, /
che attenda e vinca soffrendo; / 90 perché i nobili si vincono con la nobiltà.
90 Testo secondo Sharman (qe·ls francs venz hom franchamen); que·lh franc venson
franchamen ‘perché i nobili vincono nobilmente’ Kolsen.
Era cridaran
aquist drut truan
qu’esperars te dan;
mas qui ben ames
e melhs esperes 95
melhs for’ avenhatz,
ja fos enganatz.
Er’ o demandatz
Midons de Narbona! –
Que? – Drutz que randona 100
ni·s fenh trop cochatz,
can s’ave
c’una vetz rete
d’Amor cal que jauzimen,
si non en pert mais de cen. 105
VII Ora grideranno / questi amanti vagabondi / che attendere danneggia; / ma chi bene
amasse / 95 e meglio sapesse attendere / arriverebbe a miglior punto, / anche se fosse
ingannato. / Ora domandatelo / alla Signora di Narbona! / 100 – Che cosa? – Un amante
che si muove impetuosamente / e si mostra troppo infiammato, / quando avviene / che per
una volta ottenga / da amore una qualche gioia, / 105 [domandatele] se non ne perde più
di cento.
105 non en Sharman, no l’en Kolsen.
No·m recre
d’esperar jasse,
Sobretotz, que longamen
m’aura menat Pren-non-pren.
VIII Non mi arrendo / dall’attendere sempre, / Soprattutto, cosicché lungamente / mi avrà
condotto Prendi-non-prendere.
108-109 I due versi suonano in Kolsen sobre totz que longamen / m’aura menat ‘pren, no
pren’!, che si può interpretare ‘(di attendere, sperare, al di sopra di ogni cosa, cosicché
lungamente mi avrà condotto ‘prendi, non prendere! (l’indecisione)’; in Sharman Denan-Totz:
que longamen / m’aura menat Pren-Non-Pren. Condivido con Sharman l’idea che Sobretotz sia
il senhal più volte usato da Giraut; Pren-non-pren può essere un senhal (viene in mente Oc-
e-no, il senhal con cui Bertran de Born chiama Riccardo Cuor di Leone), ma può trattarsi di
una personificazione dell’incertezza.
Ben es drechs que longamen 110
esper om gran jauzimen.
110 Certo è giusto che a lungo / si attenda una grande gioia [meglio: che una grande
gioia la si attenda a lungo].