Giraut de Borneil, Leu chansonet' e vil
Canzonetta leggera
dappoco dovrei fare,
da poterla inviare
in Alvernia al Delfino;
e se sul suo cammino
potesse Eble incontrare,
gli potrei far sapere
che non è fare scura
l’opera duro,
ma saperla far chiara.
Chi non vuole al coltello
forte pietra accostare
non lo creda affilare
su un molle zibellino;
di certo acqua dal vino
non fece Dio alla cena,
ma si volle gloriare,
e vino fece uscire
dov’era prima
acqua, a più grazia dare.
A chi fra le sue mura,
da ogni attacco al sicuro,
millanta d’aiutare,
poi non fa, e se la ride,
c’è assai da predicare;
e a chi ripagare ama
di balle chi reclama,
che Dio i suoi desideri
mai favorisca
né li faccia avverare.
Che io d’un uomo acuto
che sa il meglio pescare
non mi metto a ridire
né mi fa riscaldare,
ma un poco mi ritraggo,
non lo posso evitare,
che è duro a sopportare,
se non san sceverare
quanti fra tanti,
né quanto e a chi spartire.
Se i fatti son davvero
che innalzano il valore,
così son da guidare
che si senta alla fine;
perché il saggio mi dice
che finché sta a lottare
non devo uno lodare
perché sa ben schermire,
né come assale,
che il pregio è appeso al fine.
Se si appende ad un filo
il pregio, che si amava,
se si rompe, trovare
è dura chi lo leghi;
che quasi tutti in fila
vanno ora i ricchi avari,
che dovrebbero alzare
il pregio e risanare
fama e allegria,
e li fanno fuggire.
Ne salvo uno tra mille:
non l’oso nominare,
che potrebbe sembrare
che gli aggiusti il cuscino;
che da sera a mattino
non si può migliorare,
né dopo cena udire
gli si può checché dire
che gran clamore
non ne esca oltre il dormire.
Mi volgo umile al mio
Bel-Signore che ho caro;
solo ne so narrare
che il suo amore mi uccide.
Ah, peggiore assassino
mai m’ha mandato in giro,
che non so pace avere,
ma in pena sto e in pensiero,
sicché il mio canto
a struggersi è vicino.
E lo dovrei mandare
a Soprattutti, e dire
che il maggior danno
è suo del mio fallire.
Testo: Sämtliche Lieder des Trobadors Giraut de Bornelh, hrsg. von Adolf
Kolsen, Halle, Niemeyer, 1910-1935; cfr. anche Ruth Verity Sharman, The cansos
and sirventes of the Troubadour Giraut de Borneil: a Critical Edition, Cambridge,
University Press, 1989.
La poesia è probabilmente degli anni 1193-94 (cfr. Lucia Lazzerini, La trasmu-
tazione insensibile. Intertestualità e metamorfismi nella lirica trobadorica dalle origini
alla codificazione cortese, «Medioevo romanzo», XVIII, 1993, pp. 153-205, 313-69,
a p. 347 e note 289-90). Ne ho suggerito una lettura parziale in Giraut de Borneil
«plan e clus», «Quaderni di Filologia Romanza», XIV, 1999 [2001], pp. 7-43. Lì ho
notato che nell’ultima strofa la lezione «noca·m saup envirar» dell’ed. Kolsen non dà
senso (e in ogni caso envirar sarebbe un hapax); ma traducendo mi è parso di potergliene
dare uno (‘mai m’ha mandato in giro’, lett. ‘saputo mandare in giro’). Ciò non toglie
che enviar ‘inviare’ dell’ed. Sharman e di numerosi mss. sia più piano, nonostante la
rima ripetuta (enviar è già nella prima strofa), che nell’ultima strofa potrebbe anche
essere ammissibile.